Rientro - I

La prima cosa che mi chiesero, appena assunta, fu di sorridere. Per accogliere la gente, farla sentire come a casa, amata (anche se non è detto che a casa si venga accolti con un sorriso. A me, ad esempio, accade raramente). Così, a distanza di anni, questo sorriso non si stacca più dal mio viso. E’ diventato involontario, come il battito del cuore. L’unica cosa che riesco a donare senza poi pentirmi. E mi chiedono come faccia ad essere sempre felice. Ma quasi mai sono felice. Sopravvivo. E lo faccio fingendo di riuscirci, così, alla fine, ci credo davvero. Mi convinco che, tutto sommato, ne valga sempre la pena. Perché ne vale sempre la pena.

Oggi vado a lavoro e indosso di nuovo il mio sorriso migliore. Tornerò a donarlo a chi lo ricambierà. A chi lo ignorerà. A chi lo interpreterà, a ragione, come un segnale d’accesso, che sfocerà in corteggiamenti più o meno velati e dall’esito incerto (ché le tresche migliori le ho vissute sempre in questo contesto). Incredibile come gente che, in fondo, mi conosce solo in superficie, riesca a cogliere i miei cambiamenti d’umore più di chi mi vive accanto. 

Oggi mi sembra il primo giorno di scuola. Spero di trovare un compagno di banco figo!